Surf-Art: PETER EGLINTON

[a cura di Marco Mazzini / SingleFin]

Breve intervista, raccolta poco tempo fa, con un fantastico personaggio, il nostro amico Peter Eglington, amico fraterno di Beau Young, pittore australiano, visionario e ribelle ai conformismi. Nei suoi dipinti chiara è la presenza della sua passione per il soul surfing e per le oniriche atmosfere degli anni settanta. Riportiamo una breve intervista sulla sua pittura.

SF: Peter, come introdurresti il pubblico alla tua vita artistica?

PE: Ecco la mia visione artistica: credo che come uomini abbiamo avuto la grazia di un incredibile dono: l’ablità di esprimere la nostra creatività, in molte forme, come artisti visuali, come musicisti, come surfers, scultori, e altro ancora. Per me l’Arte mi permette di esprimere dentimenti, pensieri e impressioni, in un modo relativamente libero senza gli ostacoli di una comunicazione interpersonale. E’ anche un tipo di meditazione per calmare la mia mente inquieta, perché devo concentrarmi fortemente per ricreare pitture che talvolta durano diversi mesi e centinaia di ore di lavoro per essere terminate. Questi lavoro riflettono ciò che io sono al momento, nella mia vita.

SF:Come riassumeresti la tua visione onirica del quotidiano…

PE: I miei dipinti permettono di esprimere la mia propria visione della vita quotidiana. Io credo che l’arte debba arrivare a rivelare agli altri ciò che in noi è più profondamente “spirituale”, l’inspiegabile mistero della nostra vita. Poiché siamo tutti collegati nei più profondi livelli di Coscienza, se ognuno è sincero con un’altra persona e si “collega” alla Coscienza condivisa collettivamente, allora è in grado di confrontarsi e convivere con questo sentimento. C’è un antico detto Maya che dice: “Il buon pittore è Saggio, egli ha Dio nel suo Cuore”. Per questo io credo che ciascuno debba agire per produrre un linguaggio figurativo positivo ed elevato. Il mondo è già abbastanza pieno di arte che esprime un subconscio negativo, che riflette più semplicemente le neurosi della cultura “moderna” poichè l’arte stessa può essere utilizzata per tenere le persone lontane dall’idea che possano esistere fattori più che positivi nel nostro pianeta.

SF: Parlaci della tua relazione con il surf

PE: Il mio legame con il surf dura ormai da quarant’anni, e credo sia stato un enorme dono fatto a me del creatore. Il surf contiene in se stesso tutti gli aspetti che significano salute, gioia di vivere, movimento, solarità, aria e acqua pure, rilassamento… ed aumenta enormemente la fame (ndr ride di gusto) … di surf stesso. Il surf mi ha permesso di affrontare più serenamente le “tempeste” della mia vita ed è stato un amico supportandomi in ogni prova.

Al momento mi ritengo fortunato a vivere nel nord del South Wales vicino a Byron Bay; devo scarpinare appena un minuto per arrivare alle onde, come hai potuto verificare, e posso affrontare spesso session con sei piedi come oggi. Per me è un grande dono vivere così vicino all’oceano, in effetti ogni volta che esco in mare cerco di prendere un’onda per ciascuno degli amici che non sono più con me. Faccio parte di una generazione un po’ strana forse… per molti versi di “pezzi” unici, prototipi testati in questo mondo.

Come tutti i surfisti anche io naturalmente sogno “l’onda perfetta”, isolata e solitaria, e spero nei miei viaggi di trovarla; ho avuto la fortuna di surfare nei primi anni privi di folla a Bali ed in Sri-Lanka, e ho visto che noi surfisti siamo una razza particolare di persone con non hanno “i piedi per terra”, come le precedenti generazioni, tranne forse per i polinesiani, ma piuttosto siamo viaggiatori in un pianeta “liquido”.

SF: Mi hai parlato del tuo viaggio in Italia, vuoi parlarne ancora?

PE: Si, ho viaggiato in Italia, diversi anni fa, nell’estate del 1976, ero molto più giovane e tutto mi è apparso fantastico, venendo io dall’australia, da un paese essenzialmente privo di una cultura propria. Mi sono sentito avvolto da un fascino misterioso e coinvolgente. In quel periodo leggevo “Agony and Exstasy” una biografia su Michelangelo Buonarroti, e mi sono sentito attratto dai capolavori che ho potuto vedere, dalle opere rinascimentale, e da Firenze in particolare. Ho adorato gli Uffizi, e le sue opere, ma soprattutto la gente che incontravo: potrà sembrarti strano ma venivo proprio da un altro mondo… In ogni modo all’epoca non sapevo che si potesse fare surf in Italia, e non mi sarei nemmeno immaginato di poter surfare lì. Devo essere stato in Italia in un’altra incarnazione, magari a mettere in polvere i frammenti di colore per qualche grande maestro.

SF:Quale è la tua visione su questo mondo così lacerato?

PE: Credo che il mondo sia in questo misero stato a causa della inabilità degli uomini a porre un limite al proprio lato oscuro. Se uno viaggia attraverso l’india o Bali o la Tailandia, si accorge osservando la mitologia del Ramayana, quanto sia importante mantenere un’equilibrio fra tutte le sfaccettature della propria natura. Abbiamo bisogno di tornare al più presto a qualcosa che suoni più ecologico, un modo di vivere più “femminino” per bilanciare l’attuale approccio consumistico alla vita, di tipo “mascolino”. Vedo la sacralità di tutta la Creazione. Noi stessi siamo qui per mantenere l’equilibrio con la natura, mantenendo il pianeta per le future generazioni. Siamo tutti figli di quell’incredibile mistero che abbiamo etichettato e venduto come Dio. Siamo un villaggio globale e come tale dovremmo incoraggiare questo cammino di tutte le culture verso Dio. Ogni singola cultura ed in effetti ogni singolo essere umano ha un proprio unico contributo da dare a questa creazione. Siamo qui anche per contribuire all’evoluzione spirituale dell’umanità e di noi stessi. E’ molto più semplice da dire che da fare, ma è una grande battaglia perché tutti noi possiamo dialogare, con quello che potremmo definire il nostro lato “più umano”; se gli esseri umani si immaginano come anime eterne che si reincarnano di volta in volta, probabilmente comprenderebbero che niente è più vero del detto secondo il quali “si raccoglie ciò che si semina”.

SF:Se tornassimo negli anni Sessanta, quale è la prima cosa che faresti?

PE: (ndr: se la ride grassamente…) Se tornassi negli anni sessanta scoraggerei sicuramente la gente dal praticare il surf… Beh, parlando seriamente, incoraggerei i Surfisti che viaggiano a rispettare e conoscere le culture dei paesi in cui si recano per surfare. Ognuno è ambasciatore della cultura e delle abitudini del proprio paese, ma deve mostrare rispetto per le popolazioni locali e per l’ambiente.

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